400+800: Korir e la nuova frontiera

20 Agosto 2018

Diventato il migliore di sempre nella "combinata" (44.21 e 1:42.05), il keniano allenato da Paul Ereng in Texas è tra i pochi coraggiosi che sfidano il confine tra velocità e resistenza

di Giorgio Cimbrico

“Il primo uccello che arriva, mangia il verme”: bel proverbio pescato da Paul Ereng per spiegare come ha messo le mani su Emmanuel Korir per portarlo dove l’elegante campione olimpico di Seul allena, all’Utep di El Paso, Texas affacciato sul Messico.

“Me ne avevano parlato bene alcuni amici: primo assaggio sugli 800, qualcosa meno di 1:47, mi hanno detto. Interessante, ma ora si tratta di vederlo, ho pensato, magari è uno da 1500, forse da 5000. Poi l’ho visto e ho capito: ottocentista puro”. E non solo, primo di sempre nella combinata dei tempi 400+800 con 44.21 (a Nairobi) più 1:42.05 a Londra, dove soltanto in due hanno corso più veloce di lui: David Rudisha e Nijel Amos il 9 agosto 2012, data che rimane infissa e impressa tra gli aficionados di una delle distanze più nobili.

Emmanuel Korir ha 23 anni (un altro prodotto dei Gemelli, sempre piuttosto generosi), un finale che prende alla gola e malgrado corra seriamente solo da un paio d’anni, ha già messo assieme un'eccellente collezione: campione Ncaa indoor e all’aperto, record mondiale indoor dei 600, 1:14.97, e progressi impressionanti. Dal 2017 a oggi, tre decimi abbondanti sui 400 (da 44.53 a 44.21), un secondo e qualcosa sugli 800: da 1:43.10 a 1:42.05 (poi 1:42.79 a Birmingham il 18 agosto), sesto di sempre, marcando una prestazione che mancava dal magico 2012. Rudisha dista 1:14. Sembra poco, ma è ora che viene il difficile.

400 più 800: la frontiera della fatica portata sino all’asfissia e una terra di confine tra la velocità tenuta il più possibile accesa e la resistenza, con l’insidia del contatto fisico. Ce n’è abbastanza per capire come l’accoppiata sia diventata l’obiettivo di pochi coraggiosi.

Ai Giochi 1912 fallì Ted Meredith (vittoria negli 800 con record del mondo e quarto nei 400), non fallì Alberto Juantorena che resta l’unico ad aver fatto l’impresa in quattro giorni memorabili, dal 25 al 29 luglio 1976: 1:43.50, mondiale strappato a Marcello Fiasconaro, e 44.26. Un anno dopo avrebbe limato sei centesimi, 1:43.44.

Chi ha inseguito un’accoppiata che è sfida e ideale? Rudolf Harbig era un ottocentista che, meno di un mese dopo il mondiale all’Arena (difficile scovare nuovi aggettivi per definire quell'1:46.6), “scese” sui 400 e strappò agli americani lo scettro con il 46.0 di Francoforte: mancavano meno di venti giorni allo scoppio della guerra che gli sarebbe stata fatale, in Ucraina.

Marcello Fiasconaro (45.49+1:43.7) era un quattrocentista che, dopo il titolo sfiorato a Helsinki da apprendista del quarto di miglio, “salì” aprendo nuovi orizzonti e nuove dimensioni alla distanza. Il suo disperato primo giro in 50.14 agli Europei romani del ’74 rimane uno dei suoi più generosi messaggi.

Il primatista mondiale del nostro tempo, David Rudisha (45.50+1:40.91) è un ottocentista purissimo che al “quarto”, coltivato dal padre Daniel, ha prestato poco tempo e attenzione. E sullo stesso piano può esser posto Nijel Amos (45.55+1:41.73), tornato di recente alla forma del 2012 ma costretto a scendere dal tronetto di sovrano stagionale meno di 48 ore dopo il successo monegasco in 1:42.14.

Amos, una delle punte di lancia del Botswana, un tempo Bechuanaland, ha assistito, da dietro, alla progressione e al prodigioso finale di Emmanuel che ha ormai lasciato lontano Ereng, l’allenatore che merita di venir incluso in questa galleria non solo per l’innata eleganza ma anche per le credenziali cronometriche: 45.6+1:43.16. Un’altra vicenda in cui l’allievo ha superato il maestro.

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