Olimpiadi: immagini e volti di Rio 2016

22 Agosto 2016

La 31esima edizione dei Giochi va in archivio con la tripla tripletta di Bolt, il bis di Farah e i record del mondo di Ayana, van Niekerk e Wlodarczyk. Un'Olimpiade in cui non sono mancate sorprese e che ha raccontato tante storie.

di Giorgio Cimbrico

Volti, gesti e sensazioni di dieci giorni - e nove nottate - di atletica olimpica. Meglio fissare subito sulla carta – pardon, sullo schermo luminoso – prima che il primo sonno profondo faccia calare una cortina di oblio.

Wayde van Niekerk: sta per scattare la lotta per ospitare la sfida delle sfide, i 300 ruggenti tra il sudafricano e il giamaicano triplo triplettista. WVN è già andato sotto i 10”, i 20”, i 44” (e per 3 cents non ha violato anche i 43”) e non sarà un problema scendere sotto i 31”, già doppiati da Usain a Ostrava. L’obiettivo è cancellare l’ultimo feudo di Michael Johnson, 30”85 a Pretoria, altura sudafricana. Dopo la gara simbolo e vertice dei Giochi, Ans Botha detta Tannie, zietta, era molto felice: questo “nipotino” dalle caviglie sottili e dal piede leggero le sta dando grosse soddisfazioni.

Usain Bolt: da arciere che scaglia i suoi dardi verso l’infinito a giavellottista che, quasi in incognito, supera agevolmente – e abbondantemente – il muro dei 50 metri. E se per il futuro scegliesse il decathlon? Vitali un po’ di tecnica sugli ostacoli e un’infarinatura di asta. Con quelle braccia, forti e dall’apertura di albatros, peso e disco non sono un problema. Se José Mourinho non lo convocherà a Old Trafford (un po’ di panchina, qualche apparizione con la maglia degli amatissimi Red Devils), il Lampo potrebbe diventare multiplo.

Almaz Ayana: occhi sbarrati e braccine rigide quando si è trovata in mezzo al guado dei 5000 e le sue prodigiose capacità di ritmo si sono inceppate, trasformandola nel trottatore che smarrisce il ritmo. Un annaspare che l’ha resa molto umana dopo la sovrumana impresa dei 10000. Per una volta, voto alto alla tattica delle keniane.

Mo Farah: un cognome lungo cinque lettere, come Viren, e doppia doppietta 5000-10000 come Lasse il freddo. Non è facile architettare un piano per fiaccarlo, per batterlo poi: se la gara è veloce, Mo tiene e infilza; se la gara è lenta, Mo inventa, al suono della campana, vertigini da ottocentista. Il maggior vantaggio per gli avversari di oggi e domani è il dato anagrafico (33 e mezzo) ma il brit-somalo è dannatamente tirato a lucido e potrebbe decidere di inoltrarsi nel futuro.

Eliud Kipchoge: ha chiuso un lunghissimo cerchio: bronzo sui 5000, argento sui 5000, oro nella maratona dando respiro assoluto alla sua seconda vita, quella da imbattuto (o quasi) su strada. Sette vittorie su otto discese in campo. Buono per tutte le distanze, all arounder tra i più grandi della storia, elegante e provocatore il giusto: l’invito rivolo a Lelisa di andare a tirare quando lui aveva deciso di dare la svolta finale merita un replay e magari anche un altro.

Anita Wlodarczyk: lunghisti, triplisti e lanciatori hanno una sensibilità così spiccata, mani e piedi così intelligenti, che non hanno bisogno di guardare la sabbia alle spalle o l’atterraggio dell’attrezzo. Anitona comincia a esultare quando il martello deve ancora toccare l’apogeo, prima di scendere e andare a varcare, per 29 cm, un’altra barriera, quella degli 82 metri. Esultanza e disperazione, sempre in polacco: Pawel Fajdek che, come dice Dante, cade come corpo morto cade e là rimane, immoto, sulla gomma di una bollente mattinata brasiliana, è una delle immagini più tristi e inaspettate.

Matthew Centrowitz junior: come Billy Mills, il sioux campione olimpico dei 10000 a Tokyo, ha avuto l’occasione e l’ha sfruttata aggiungendo all’emozione svegliata da quella volata lunghissima i caldi accenti di una storia di famiglia. Papà Matt era un miler di spicco, in grado di battere il record dei 1500 della Oregon University, in mano a un’icona diventata tragica: Steve Prefontaine. Centrowitz senior venne fregato dal boicottaggio americano a Mosca ’80. Nove anni dopo, nel Maryland, è venuto al mondo Matt junior e ha regolato i conti con la storia. Chi coglie il giorno (carpe diem), merita ammirazione: non tutti ne sono capaci. Tirata d’orecchie agli africani e nordafricani: Matt sconosciuto non era (sul podio a Daegu e a Mosca e vincitore ai Mondiali indoor di Portland) e le sue capacità di finisseur meritavano attenzione.

Yohann Diniz: Ernest Hemingway ha scritto molti bellissimi racconti, uno porta il titolo “L’invitto” ed è perfetto per l’estasi e il tormento attraversati da questo francese all’osso, un specie di statua medioevale in legno che cede, riprende, cade fulminato, si rialza, arriva. Colonna sonora a cura di Richard Strauss: Morte e Trasfigurazione.

Gesti olimpici: il più commovente è quello che ha riunito la neozelandese Nikki Hamblin e l’americana Abbey D’Agostino. Abbey cade, Nikki si ferma a darle una mano. Finale offerta come per un happy end, ma l’americana, ancora sofferente, non prende il via. Belle senza essere a tutti i costi edificanti, le parole del marciatore canadese Evan Dunfee, felice di essere stato riportato al quarto posto dopo quel fortuito contatto con Hirooki Arai. Medaglie all'asta. Se l'anno scorso a Pechino il martellista Pawel Fajdek, in piena sbronza, aveva usato il suo oro mondiale per pagare il taxi a Pechino, stavolta un altro lanciatore polacco ha fatto notizia con la sua medaglia. E' il discobolo Piotr Malachowski che ha messo all'asta l'argento di Rio 2016 per finanziare le cure di un bambino malato di cancro.

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